MEMORIA 4.0 
Primo Leonardelli, minatore 

La Pro Loco Sant'Antonio Dro ricorda Primo Leonardelli
unica vittima trentina della strage di Marcinelle, 1956

Vilma Calzà, autrice del libro “Vite di Miniera” incontra le nipoti Leonardelli.

Cronaca di un pomeriggio particolare di qualche giorno fa

Nell'automobile siamo in quattro: Sebastiano, sua mamma Marta, l'amica Agnese e io. Andiamo a conoscere una persona che abita a Viarago, un piccolo paese nel perginese. Parliamo tra di noi del più e del meno con una punta di distacco perchè il nostro pensiero è rivolto all'incontro che faremo tra poco. La piccola piazza appare dopo l'ennesima curva e la casa è finalmente davanti a noi. Dietro i vetri di una finestra al primo piano vediamo una persona che scruta la strada, e che sembra in attesa. Parcheggiamo, raccogliamo i nostri omaggi e suoniamo il campanello. Sobbalzo al scatto della serratura, sono nervosa, ma l'atrio, che ci accoglie con grandi vasi di clivie splendidamente fiorite, mi mette subito a mio agio. “Permesso, permesso”. La voce di Sebastiano, che fa da capofila, ha una vibrazione strana, mentre io avverto un'onda di sudore inumidirmi le ascelle. Fra pochi istanti conoscerò la nipote di Primo Leonardelli, minatore, unico trentino morto nella tragedia di Bois du Grazier a Marcinelle l'8 agosto 1956, che ha visto 262 minatori morti all'istante, di cui 136 italiani. Le scale sono strette e ripide ma la cucina dove siamo invitti a entrare è luminosa, tanta quanto il sorriso con il quale siamo accolti. Io entro per ultima, stringendo tra le mani un vaso di calancoe gialle come se fosse un'ancora alla quale aggrapparmi, mentre penso alle incredibili coincidenze che mi hanno condotta fino a qui. Sono travolta dalla tenerezza di un sorriso che mi spinge a cercare nello sguardo dell'anziana signora l'eco di un altro sguardo: quello di Primo. E qui è necessario una spiegazione. L'idea di scrivere un romanzo sulle vicende umane di centinaia di nostri conterranei emigrati in Belgio per lavoro, si era consolidata dopo l'incontro con la figlia di uno di quei minatori. Ricerche, interviste, notti insonni passate a riflettere, a cercare il modo di riavvolgere un gomitolo con un filo di Arianna perso nel tempo e trasformarlo in un romanzo. È stato un viaggio a ritroso, viaggio affascinante ma doloroso, consapevole e rispettoso. Ora eccomi qui, nuovamente al cospetto di un testimone, di uno sguardo specchio di memorie incancellabili. Coincidenze? Sì, tante, pure misteriose. Un uomo giovane: Primo. 8 agosto 1956: è il suo “primo” giorno di ripresa dal lavoro dopo un breve periodo di riposo a casa, in Italia, ma non sarebbe il suo turno, e lui è un uomo generoso, sostituisce un compagno infortunato. Scende nel pozzo; scava in un budello piccolo come come lo spazio che c'è sotto una sedia... e muore. Muore perchè sbalzato nella parte più profonda e buia del pozzo, ora illuminata a giorno dalle fiamme di una esplosione. Primo, di nome. Ultimo cadavere recuperato. Quello fu il suo destino..., chiamarsi Primo ed essere recuperato per ultimo. Primo... Ultimo. La vicenda la conosco eppure trattengo a stento le lacrime mentre ascolto la nipote, che pure ne parla con dolcezza. Non sento astio nella sua voce, solo una grande tristezza. “Ce l'hanno restituito dentro una bara di zinco. Aveva 36 anni”. La cucina è calda e confortevole e sul tavolo c'è un vassoio di dolci e i bicchieri sono colmi di gingerino. Marta, con tanti ricordi personali da condividere, essendo figlia di un minatore che è stato in Belgio tiene le dita della mano destra sulla bocca, come a trattenere le parole; Agnese continua ad allentare e stringere il foular che ha attorno al collo e ogni tanto si schiarisce la voce; Sebastiano ha gli occhi solitamente ridenti, colmi di luccichii: “Io ho due figli piccoli ma sto già insegnando loro quanto sia importante conoscere le storie di vita di coloro che ci hanno preceduto, e che spesso, se non sempre, hanno costruito la base del nostro benessere”. Io guardo la signora Vilma; eh sì, io e lei abbiamo lo stesso nome...e abbiamo svolto il medesimo lavoro. Coincidenze? L'ennesima dopo tutte quelle incontrate nella fantastica avventura della scrittura di “Vite di miniera”. Il pomeriggio scivola via in una atmosfera intima e quieta. Ma c'è un'altra persona seduta accanto a me, Nella, un'altra nipote di Primo. Non parla molto ma annuisce in continuazione. Il tempo vola nella rievocazione dei tanti momenti di passione e dolore, ma anche dei sorrisi di una bambina che ha mangiato la sua prima banana, frutto sconosciuto, in Belgio, o del timore verso un sole mai brillante, perchè sempre velato dalla polvere di carbone. E Vilma sorride nel parlare di sé, perchè quella bimba era lei. Quando giunge il momento di tornare a casa, andiamo a salutare Primo, sepolto nel piccolo cimitero a fianco della chiesa, a pochi metri da casa. Sulla sua lapide sono incise parole di doveroso rispetto verso una giovane vita stroncata sul lavoro, lavoro pericoloso, ma accettato con grande consapevolezza e altrettanta fiducia nel proprio futuro. Durante il viaggio di ritorno proviamo a stemperare l'inevitabile tristezza in una sorta di recupero della gioia di essere vivi con parole scherzose. La strada pressoché sgombra, dato che il traffico e caotico sulla corsia opposta, permette a Sebastiano di guidare rilassato. “Che bel pomeriggio!”. “Sono contenta di aver conosciuto i familiari di Primo”. “Questa mattina avevo “la luna”, adesso è passato tutto”. “Bene donne... al prossimo incontro... ci aspetta a Manoppello in Abruzzo... e poi... chissà”.

 Vilma Calzà